Limiti e confini nella maternità

Limite, confine, parole che evocano chiarezza, consapevolezza, identità: riconosco il mio spazio, riconosco ciò che conta davvero per me e, di conseguenza, riconosco lo spazio altrui.
Limite, confine, vuol dire imparare a dire “no”.
Nella vita di tutti i giorni, questo concetto diviene liquido, si scolora. Siamo sopraffatti da cose, situazioni che si nutrono della nostra energia e dalle quali sembra non possiamo tirarci mai indietro, eppure, è più facile dire di no. Quantomeno, iniziare a farlo. Quella mail in più, l’ennesima richiesta che succhia energia alla fine della giornata, pensaci: è più facile, è questione di sopravvivenza. Imparare a dire no, stabilire un confine che sia frutto di consapevolezza di noi stesse, dei nostri bisogni, di quello che veramente conta per noi, ma cosa accade a questa dimensione, quando diventiamo madri?
La risposta è una parola magica: scoprire la vera te stessa, la te autentica. Un viaggio, quindi, sempre rimandato, per il quale non c’è mai abbastanza tempo perché siamo sempre “per” qualcuno, perché anche la più “avanti”, emancipata e moderna di noi ha provato il peso del senso di colpa.
Ma come si fa a stabilire un confine con i figli? Quell’umanità parte di te eppure diversa da te per la quale sarai sempre e solo “mamma”?
Limiti e confini nella maternità: una vera e propria aporia
Dobbiamo arrenderci, in filosofia, sarebbe un’aporia (percorso senza sbocchi). Ma solo in apparenza, perché è sempre un gioco di prospettive, di cambiamento di mentalità. E per fare tutto questo bisogna allenarsi. Come?
Iniziando cosi:
- Stabilisci dei confini per fare tacere il rumore, condizionante, che proviene dall’esterno. Verissimo. Quando si diventa madri. Tutti ne sanno più di te e meglio di te. Ma tu hai una marcia in più: quella di sapere di essere una buona madre per i tuoi figli. Null’altro è più importate che coltivare questa consapevolezza. Vuol dire prendersi cura di se stessa e riconoscere la propria unicità in quanto persona, vuol dire sapersi abbracciare da sole. Avere un po’ di autocompassione.
- Sii tu a dare la tua personale versione di maternità. Vuol dire riconoscere la connessione intima che si produce e si è in grado di nutrire verso i figli. Vuol dire rispettare se stesse e non le aspettative che qualcun altro ha predisposto all’infuori di te.
- Tu sola puoi stabilire una linea da non oltrepassare. Tu sei in grado di mettere a tacere i sensi di colpa perché prendi le decisioni migliori che puoi prendere, dando il meglio di te, avendo il coraggio di dire “no”. Non stai abbandonando tuo figlio, quando sei al lavoro. Non lo stai trascurando, quando lo lasci con la baby sitter. Stai cercando un equilibrio. Il tuo. Stai stabilendo un confine che nasce dalla consapevolezza di saperti prendere cura di te, di non sprecare energie, di non sentirti sopraffatta (che è l’anticamera per l’esaurimento e per quella rabbia che non sai dire).
- Cerca di lasciare andare. Ecco il segreto della maternità. Dare ali ai figli per volare via. Per fare da soli, per fare in modo che non abbiano più bisogno di te. Tu sei grado di fare questo perché sei in grado di dare un nome a ciò di cui hai bisogno. E facendolo, sei in grado di insegnarlo anche ai tuoi figli: ad ascoltarsi, a prendersi cura di loro stessi, a infondere in loro la consapevolezza di essere abbastanza, comunque. Questo è il nutrimento per le radici dalle quali spuntano ali per volere. Così si assolve al compito della maternità.
Se hai bisogno di capire come fare puoi scrivermi a sabrina@sabrinaciraolo.com